Il progetto culturale della Facoltà di comunicazione, cultura e società

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Le immagini ci interrogano. Con la loro muta presenza o con vivaci interpellazioni, abitano il nostro presente e interagiscono con noi. È probabile che non si tratti di una novità, che anche altre epoche abbiano sperimentato così intensamente la loro presenza e i loro effetti; mai come ora, tuttavia, esse pervadono il quotidiano: si affacciano dagli schermi di dispositivi dai quali siamo a tutti gli effetti inseparabili; sono prodotte da circuiti di videosorveglianza ormai in grado di riconoscerci individualmente; trasmesse da minuscole sonde, radiazioni o echi, ci offrono inedite e spesso perturbanti visioni dei nostri corpi. Sul piano economico e sociale, da rinvio a un ‘altro’ oggetto, le immagini sono oggi veri oggetti di consumo e di vendita, sollevando anche la questione di cosa, in fin dei conti, si scambi davvero nei nostri mercati.

Alla rilevanza sociale del tema (si pensi ancora alla questione dello stereotipo) si aggiunge quella scientifica. Sempre più le immagini, oltre che oggetto, sono strumenti e metodi della ricerca, dal visual design dei big data (anche nel campo delle digital humanities) alle pratiche dell’antropologia visuale, all’adozione del video-essay come strumento di comunicazione scientifica. Le immagini non soltanto interrogano, ma vengono interrogate e assumono la concretezza di corpora.

Interrogare questo incrocio di reciproche interrogazioni significa porsi domande cruciali per la società nel suo complesso e per l’università in particolare. Per metterle a fuoco può farci da guida il syllabus messo a punto da uno dei fondatori degli studi di cultura visuale: “Cos’è un’immagine? Qual è la relazione tra immagini e linguaggio? Come circolano le immagini attraverso i media? In che modo ci influenzano? In che modo acquisiscono senso e potere? Com’è che sembrano prendere vita, e cosa vogliono da noi? Come si trasformano al trasformarsi delle forme sociali e delle tecniche di vita? Che ruolo giocano negli eventi storici? E qual è la storia del nostro modo di capire le immagini?” (W. J. T. Mitchell, Iconologia 3.0).

Notizie

La fabbrica delle immagini

Silvia Cipelletti (coordinatrice), Nicoletta Fornara, Christian Geddo, Marc Langheinrich, Kevin B. Lee, Katharina Lobinger, Jeanne Mengis, Johanna Miecznikowski-Fünfschilling, Luca Visconti

La produzione di immagini implica non soltanto la realizzazione e la raccolta di rappresentazioni visive della realtà, ma anche la loro selezione e interpretazione al fine di discriminare e disseminare i loro significati. Il gruppo di lavoro “La fabbrica delle immagini” si focalizza sui ruoli della selettività e delle competenze di lettura nelle operazioni di produzione visuale, siano esse messe in atto da umani o da tecnologie automatizzate come il machine learning. Il progetto prende in esame applicazioni pratiche di dispositivi tecnologici e best practices per ricercatori, così come le questioni etiche della rappresentazione e gli effetti sociali delle modalità di scelta e interpretazione delle immagini nei loro processi produttivi. I materiali della ricerca comprendono una varietà di pratiche di produzione delle immagini, da metraggi originali registrati con videocamere agli usi trasformativi di materiale esistente come video essays e sistemi di IA.

Immagini inclusive/che escludono

Chiara Cauzzi (coordinatrice), Chiara Pollaroli, Sara Garau, Roberto Leggero, Marco Maggi, Sabrina Mazzali-Lurati, Simone Mollea, Rosalba Morese, Francesca Scalici

In un momento storico in cui l’inclusione è messa a tema e esplicitamente richiesta per un accorto funzionamento delle più varie sfere di interazioni umane ci interroghiamo su quali sono i criteri per dire che un’immagine è inclusiva oppure che non lo è in quanto esclude elementi e dinamiche importanti per la sfera di interesse. Consapevoli che il nostro interrogativo principale deve necessariamente passare attraverso domane quali: può un’immagine essere inclusiva di tutto ciò che riguarda una data sfera? Affinché l’inclusività venga efficacemente comunicata è utile agganciarsi a stereotipi oppure è controproducente? andremo ad osservare le occasioni in cui l’inclusione è messa a tema o data come necessaria nella nostra sfera di interesse: l’Università della Svizzera italiana con le sue dinamiche di interazione e i suoi eventi. Osserveremo così se la questione è riferita solo a certi temi (es. gender inclusion) oppure se è inclusiva anche di altri temi (es. disabilità, malattie croniche, conciliazione famiglia-lavoro/studio). I nostri interrogativi daranno vita a diverse occasioni di interazione-gioco grazie alle quali i partecipanti potranno riflettere sul significato di includere ed escludere, di stereotipo, di identità uniche o plurime.

Immagini e temporalità

Federica Frediani (coordinatrice), Gabriele Balbi, Eleonora Benecchi, Laura Crippa, Sara Greco, Monica Gugolz, Roberto Leggero, Fabio Pusterla, Vega Tescari, Luca Trissino, Carla Mazzarelli, Alessandra Zamparini

Il gruppo si propone di riflettere sulla persistenza e sulla scomparsa delle immagini nel corso del tempo. Le due parole chiave, frutto di una più ampia selezione di termini, indicano infatti la traiettoria temporale delle immagini che spariscono o permangono per ragioni fortuite o scelte determinate. Il punto di partenza sono le pitture rupestri e le loro riproduzioni digitali, come quelli conservate nelle grotte di Lascaux e quelle di Altamira. Da qui si dipana un percorso che si spinge fino alle rielaborazioni contemporanee di questo linguaggio e di queste immagini che si diramerà in due filoni. Il primo si articolerà in un seminario accademico dove si affronterà il tema da diverse prospettive (conservazione, archivi tradizionali e digitali, produzione artistica, cinema, ecc.); il secondo si strutturerà, invece, attorno a un evento divulgativo aperto a un pubblico ampio al quale si chiederà di riprodurre delle immagini fra passato, presente e futuro.

Verità delle immagini

Imma Iaccarino (coordinatrice), Michele Amadò, Linda Bisello, Sofia Bollini, Chiara Cauzzi, Matthew Hibberd, Colin Porlezza, Margherita Schellino, Sara Sermini, Ivo Antonio Silvestro

Il gruppo di ricerca riflette in primo luogo sullo statuto epistemologico dell’immagine nei suoi rapporti con la verità e le forme di (auto)rappresentazione e messa in immagine del corpo umano. Partendo da storici o più recenti sviluppi tecnologici in campo medico (i raggi-X, la fMRI, l’endoscopia via tubo o videocapsula, l’augmented reality applicata alla chirurgia, ecc.), il gruppo si occupa dei dispositivi che hanno reso reale la possibilità di esporre e visualizzare lo spazio umano, un tempo interno e opaco, in modalità fino ad allora solo immaginate o sognate nei simboli o nei topoi dall’arte e dalla letteratura (ad es. il cuore di cristallo). L’impiego dell’immagine medica, a fini diagnostici, terapeutici e comunicativi, interviene anche nell’evoluzione della relazione medico/paziente, sempre più di rado basata sull’ascolto reciproco tra le parti, ma sull’intercettazione della malattia nella sua “emersione” sui monitor. Su queste basi, in che modo il dato visuale integra (o si sostituisce) al racconto della malattia (Rita Charon)? Come influisce sull’agency del paziente questo cambiamento di paradigma? Qual è il «valore espositivo» (Benjamin, 1935-36) della fotografia, e dell’immagine a più ampio spettro, in relazione al corpo anatomico e quali i suoi effetti di realtà? Il gruppo estende la sua indagine dall’ambito del corpo medicalizzato a quello ambientale, ragionando sull’attendibilità e l’efficacia dell’uso mediatico delle immagini nel campo del cambiamento climatico. Restando al tema delle nuove tecnologie (soprattutto IA) nelle attuali forme di comunicazione, il terzo campo d’osservazione è quello del giornalismo, in cui la distinzione e la distorsione tra contenuto vero e falso legata alla natura delle immagini stesse rappresenta una nuova insidia. L’indagine sul “corpo esposto” e sulle sue stratificazioni visivo-concettuali apre infine il ragionamento, in forma collettiva, verso alcune questioni connesse alla vulnerabilità: il rapporto tra corpo-osservatore e corpo-osservato, le narrazioni del corpo dell’altro, il riconoscimento e l’esposizione della precarietà (Butler, 2004).