Sostenibilità, un'opportunità anche per gli affari

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Servizio comunicazione istituzionale

28 Marzo 2022

Mentre si avvicina l'appuntamento con il Sustainable University Day del prossimo 29 aprile (scopri di più), continuano i nostri spunti di riflessione in tema sostenibilità. Oggi l'attenzione è sulla relazione tra competitività e sostenibilità. La competitività delle aziende è una variabile strettamente correlata al contesto sociale in cui esse operano. In altre parole, la capacità di integrare nella propria azione la sensibilità che la società nutre verso determinati temi e di tenere in considerazione, più in generale, il benessere complessivo della comunità in cui l’azienda opera si traduce in un vantaggio anche sul mercato. Oggi l’imporsi del paradigma di una maggiore sostenibilità, ambientale e sociale, offre così alle aziende nuove opportunità di sviluppo e consolidamento economico. Ne parliamo con Michael Gibbert, professore ordinario di Marketing e Consumo sostenibile presso l’Istituto di marketing e comunicazione aziendale dell’USI.       

Nel campo della strategia aziendale un concetto centrale è quello di vantaggio competitivo “sostenibile”. Il termine, coniato da Michael Porter a cavallo tra gli anni Settanta e Ottanta del Novecento, aveva inizialmente un’accezione prettamente economica: la “sostenibilità” era intesa come l’insieme degli elementi dell’azienda e dei suoi prodotti o servizi che, nel lungo periodo, creano valore aggiunto e differenziano l’offerta da quella dei concorrenti agli occhi dei clienti.     

A distanza di quarant’anni, la sostenibilità come fattore di competitività ha assunto ovviamente una dimensione più complessa e complessiva, in linea con lo sviluppo del concetto nella società. 

 

Chi non coglie davvero l'occasione... 

Per comprendere questa evoluzione possiamo partire dall’esempio di Carlsberg, il famoso produttore di birra danese, che ci mostra come il concetto di sostenibilità sia interpretabile attraverso tre binari principali: la salute del consumatore, la sicurezza del lavoratore e la tutela dell’ambiente.  

La scelta di Carlsberg è stata puntare soprattutto sull’aspetto sociale dell’impresa, sottolineando ad esempio il fatto di non aver dislocato la produzione per risparmiare sulla manodopera. Si tratta di un approccio che potremmo dire “non sofisticato”, perché la sostenibilità non incide in modo profondo sulla cosiddetta “value proposition”, ovvero il perché un consumatore dovrebbe scegliere un determinato prodotto, e non porta a modificare il proprio modello di business, che resta basato su un consumo “generico” di un prodotto che, in grandi quantità, può essere dannoso per la salute (pensiamo al rischio di abuso di alcol) e per l’ambiente (uso di grandi quantità d’acqua per produrre la birra). Un modello di business che rischia di incrinarsi sul lungo periodo.  

 

...e chi sa fare di necessità virtù

Patagonia, San Pellegrino e Ikea offrono invece tre esempi di come i “vincoli” derivanti dalla sostenibilità ambientale e sociale possano portare a rivedere e innovare proprio il modello di business, diventando così fattori di vantaggio competitivo e dunque di sostenibilità economica. Tre esempi, insomma, di come si possa fare di necessità virtù integrando gli obiettivi di sostenibilità dell’ONU in modo coerente con la strategia aziendale, e viceversa.  

Patagonia ha promosso una famosa campagna in cui incoraggiava a non comprare una delle loro giacche. Le persone sono state così invitate a considerare l’effetto del consumismo sull’ambiente e questo da un’azienda che utilizza materiali ecologici e che ha impostato la propria “value proposition”, e il proprio posizionamento sul mercato, sulla resistenza e durata dei propri capi di abbigliamento. La sostenibilità va così a rafforzare il vantaggio competitivo della compagnia, perché non suona come una dichiarazione fine a sé stessa o fatta per motivi di “green washing”, e perché si sposa con il tipo di business e di clientela che l’azienda persegue e ricerca.      

San Pellegrino, da parte sua, ha basato il suo messaggio sull’esperienza del “fine dining”, associando l’acqua in bottiglia a momenti speciali come una cena in un ristorante stellato, un concetto che sarà valido anche tra cinque anni e che è tutto sommato “conciliabile” con la sensibilità generale circa l’opportunità di ridurre il consumo di acqua in bottiglia. Al contrario, Evian è restata ancorata alla “value proposition” dell’idratazione, ovvero che bere acqua fa bene. Questa “value proposition” non è più così solida nel momento in cui si guarda criticamente all’impatto ambientale dell’acqua in bottiglia: tutti possiamo infatti avere lo stesso beneficio proposto da Evian, bevendo acqua del rubinetto.   

 

Competivo significa sostenibile, sostenibile significa competitivo

Ikea infine – per tornare agli esempi di legame “forte” tra sostenibilità e competitività – ha proposto il concetto di un’economia circolare sostenibile che prevede di non buttare i mobili usati, ma di ripararli e cambiarne la funzionalità. Contemporaneamente sta (ri)concependo i propri mobili in modo che possano essere smontati e riassemblati a piacere per dare loro una seconda vita e sta anche testando la soluzione del mobilio in leasing.  

Possiamo dunque dire che senza competitività non c’è sostenibilità (economica), ma ormai – e un po’ ironicamente – non può esserci competitività senza sostenibilità (ambientale e sociale). Le aziende dunque sono e saranno sempre più chiamate a fare di necessità virtù e, come detto, non mancano esempi di chi si è già incamminato in questa direzione.