Dal marketing alla poesia, affrontando gli "ultimi respiri"

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Servizio comunicazione istituzionale

30 Settembre 2022

Lo scorso mese di maggio si è tenuta la quinta Giornata cantonale di cure palliative, promossa da palliative ti, la sezione ticinese dell’Associazione svizzera per la medicina, la cura e l’accompagnamento palliativi, con l’obiettivo di favorire l’incontro e il dialogo sul tema. L’USI ha patrocinato la giornata insieme ad altre istituzioni e organizzazioni, tra cui Cantone, Città di Lugano, EOC e SUPSI. L’evento ha visto tra i relatori Luca Crivelli, Professore titolare all’USI e Direttore del Dipartimento economia aziendale, sanità e sociale della SUPSI, e tra i membri del comitato scientifico Michele Corengia, dottorando alla Facoltà di comunicazione, cultura e società e autore della raccolta poetica “I miei ultimi respiri”. Abbiamo incontrato Michele per parlare della giornata e del suo percorso di ricerca, scientifico ma anche esistenziale.

 

Michele, in maggio si è tenuta la quinta Giornata cantonale di cure palliative. Di che cosa si è discusso?

La quinta Giornata cantonale di cure palliative è stata l’occasione per riflettere sulle diverse sfaccettature delle cure palliative, con un particolare focus sulle popolazioni più vulnerabili che accedono ai servizi di questa disciplina medica. Intitolata Il Caleidoscopio delle Cure Palliative, la giornata è stata anche l’occasione per festeggiare i venticinque anni di operato di palliative ti, associazione impegnata a garantire un accesso equo alle cure palliative a tutte le persone che vivono in Ticino e che necessitano di queste cure. Per me, membro del comitato esecutivo di palliative ti e ricercatore nel campo del marketing delle cure palliative, è stato un momento altamente simbolico. Partecipare alla progettazione di questa giornata mi ha fatto riflettere su un percorso lungo circa sette anni: un percorso non solo educativo, ma esistenziale.

 

Com’è nato il tuo interesse per le cure palliative e l’abbinamento con il marketing?

Con la morte di mio nonno nel maggio del 2015. Al tempo, ero uno studente in Marketing Management all’Università Bocconi di Milano. Tra una lezione e l’altra, verso la fine del mio primo anno di Master, mio nonno morì in un anonimo letto di ospedale. Mi ricordo ancora la corsa nel cuore della notte per cercare di salutarlo un’ultima volta, di avere il tempo per farlo. Con mio nonno, tenendo le sue mani, avevo imparato a camminare, ora dovevo correre per stringergli la mano un’ultima volta. La fretta, i suoi ultimi respiri nella fredda luce al neon di un ospedale di provincia, la tragicità del momento non riconosciuta dal resto del mondo, hanno segnato la sua morte. Doveva finire in hospice, una struttura dedicata alle cure palliative, ma non fece in tempo. Con il passare delle settimane iniziai a chiedermi se la sua morte, in hospice, sarebbe stata diversa.

Mesi dopo, al secondo semestre del mio ultimo anno di Master, stavo frequentando un corso di marketing esperienziale. Un sabato pomeriggio mi capitò la fortuna di guardare una Ted Talk di BJ Miller, un medico palliativista statunitense. Il suo discorso mi ispirò e mi spinse a focalizzare il tema della mia tesi di Master sul marketing esperienziale applicato alle cure palliative. Applicare i principi di marketing esperienziale al contesto delle cure palliative era un’idea particolare, se pur coerente con una peculiare interpretazione del marketing. Le cure palliative, infatti, come tutti i servizi, hanno necessità di farsi conoscere e spiegarsi, in modo che i potenziali interessati possano scoprire l'offerta disponibile e avere tutti gli elementi per una scelta consapevole. Il marketing può fornire spunti molto utili da applicare anche a questo tema sociale. Ebbi la fortuna di incontrare persone che credettero nella mia visione e molti pazienti e familiari che condivisero i loro ultimi momenti insieme con me. Da qui nasce la dimensione più esistenziale del mio percorso.

 

E dal marketing alla poesia, anche questa una combinazione particolare. Cosa puoi dirci?

In poche parole, il passaggio alla poesia risponde a una domanda: qual è linguaggio che permette di parlare autenticamente del morire?

I primi tre anni del mio dottorato all’USI mi hanno permesso di immergermi nel contesto delle cure palliative, collaborando con i vari attori che le offrono sul territorio ticinese. Adottando una metodologia etnografica, intervistavo e osservavo pazienti, familiari, operatori sanitari. Man mano che procedevo in questa raccolta dati, una domanda si faceva sempre più pressante in me. All’inizio pensavo fosse una domanda di natura etico-metodologica: mi sembrava di non poter restituire correttamente quanto visto sul “campo di indagine”. Poi, dopo una settimana passata con l’equipe di cure palliative all’Ospedale Covid di Locarno, ho realizzato che la domanda era di natura ontologica. Grazie a diversi corsi del Bachelor in Filosofia della Facoltà di Teologia di Lugano, frequentati come uditore, ho sviluppato gli strumenti mentali per poter pensare la domanda circa il linguaggio del morire. Il passaggio alla poesia è stato, quindi, una naturale evoluzione dell’approfondito studio condotto soprattutto sulla filosofia di Martin Heidegger.

 

Dove finisce il marketing in questo?

Si potrebbe pensare che esso sparisca, lasciando il posto a un lavoro altamente teorico. In realtà, la riflessione sul pensiero poetico è necessaria per poter parlare di marketing delle cure palliative. È questo il punto chiave su cui sto lavorando in conclusione della mia tesi di dottorato. Può esistere un marketing tradizionale delle cure palliative, come avviene negli Stati Uniti? Io non penso. È necessario ripensare il marketing per poter parlare autenticamente di marketing delle cure palliative. Un vero ripensamento del marketing, però, è possibile solo se poniamo la domanda circa la sua essenza con un linguaggio diverso rispetto a quello abitualmente parlato in questa disciplina. Come ci ha insegnato la giornata cantonale, le cure palliative sono un caleidoscopio che restituisce un’immagine della realtà complessa e poliedrica. Per quanto le cure palliative non equivalgano alla morte (questo è uno degli stereotipi da sradicare), il morire è una dimensione fondamentale a cui ci si espone, quando si parla di cure palliative. Poter parlare autenticamente del morire richiede un linguaggio, che il marketing ancora non possiede. Da qui parte il sentiero su cui il mio pensiero vuole incamminarsi nei prossimi anni.