La crisi sociale e politica del Libano due anni dopo l'esplosione al porto
Servizio comunicazione istituzionale
5 Agosto 2022
Nell’esplosione avvenuta a Beirut nell' agosto 2020 morirono oltre duecento persone, ma le conseguenze che il Libano, a due anni dall’evento, si ritrova ad affrontare non riguardano solo vittime e danni materiali. L’esplosione «ha certificato l’esistenza di una crisi profonda e inarrestabile» ha spiegato Martino Diez, direttore scientifico della fondazione internazionale Oasis e membro del comitato scientifico del MEM, intervistato da Francesco Pellegrinelli sul Corriere del Ticino insieme al rettore dell’Università Saint-Joseph di Beirut e anche lui membro del comitato scientifico Salim Daccache e alla young change-maker Sarah Hermez. La quinta edizione del MEM Summer Summit si terrà al campus di Lugano dal 18 al 27 agosto.
L’esplosione ha mostrato «in tutta la sua gravità, l’assenza dello Stato» ha spiegato Diez soffermandosi soprattutto sull’incapacità del sistema politico libanese sia di reagire alla crisi economica, sia di generare un cambiamento. Lo si vede anche nell’inchiesta giudiziaria sull’esplosione, ferma a causa delle pressioni politiche da parte di Hezbollah. «L’inchiesta – ha spiegato Daccache – è intralciata dall’ostruzionismo dei ministri indicati dal magistrato come i responsabili dell’esplosione». Lo scorso novembre, Hezbollah ha organizzato una manifestazione per chiedere la sospensione del magistrato, e il corteo è degenerato in uno scontro armato tra civili. «Hezbollah rifiuta l’inchiesta sostenendo che sia pilotata dalle potenze occidentali contro l’Iran e i suoi rappresentanti in Libano».
In Libano i seggi sono attribuiti su base confessionale e questo, ha argomentato Diez, «alimenta rapporti clientelari e blocca ogni riforma nel Paese». La sfida, secondo Diez, è riuscire a «superare il modello confessionale garantendo nel contempo la liberà di culto che oggi ancora esiste nel Paese».
Il Summer Summit di quest’anno analizzerà le conseguenze della guerra in Ucraina sulla regione del Medio Oriente e del Mediterraneo. Per il Libano queste conseguenze sono rappresentate soprattutto dall’insicurezza alimentare, dal momento che la produzione agricola interna non è sufficiente. «Tradizionalmente il Libano è considerato un Paese ricco, meta per le popolazioni confinanti» ha spiegato Diez. «Ora, invece, per la prima volta, i libanesi vogliono fuggire, anche clandestinamente, verso l’Europa».
La popolazione deve inoltre affrontare le conseguenze della svalutazione della lira libanese. «L’inflazione ha quasi cancellato la classe media» ha spiegato Sarah Hermez, giovane imprenditrice libanese e ospite, come young change-maker, di una precedente edizione del MEM Summer Summit. Hermez gestisce una scuola di moda, gratuita, per giovani stilisti, «un luogo dove potersi recare ogni giorno, e dove imparare un mestiere, costruirsi un futuro». Perché «anche se le prospettive non sono rassicuranti, vogliamo dare un futuro a questi giovani ragazzi».