La libertà nella prospettiva delle scienze umane - Proprietà, schiavitù e libertà nella storia del diritto

Eleanor Roosevelt holding poster of the Universal Declaration of Human Rights, New York. November 1949. Foto from Wikimedia Commons
Eleanor Roosevelt holding poster of the Universal Declaration of Human Rights, New York. November 1949. Foto from Wikimedia Commons

Servizio comunicazione istituzionale

30 Maggio 2022

Continua il ciclo di interviste La libertà nella prospettiva delle scienze umane in collaborazione con l’Istituto di studi italiani dell’USI. In questa puntata Dario Mantovani, professore di Storia delle istituzioni tardo antiche e titolare della cattedra Droit, culture et société de la Rome antique al Collège de France a Parigi, ci parlerà di Proprietà, schiavitù e libertà nella storia del diritto.

 

Quando parliamo di libertà, usiamo una parola che viene dal latino. Cosa ci dice la sua storia?

Ha un’origine ancora più antica. La sua radice si ritrova in varie lingue indoeuropee, compreso il greco: tutte società che conoscevano evidentemente la divisione fra liberi e non. Probabilmente, la radice comune significa “crescere”. A prima vista, è un’idea distante dalla nostra idea di “libertà”, ma l’interesse della storia è proprio di fare riflettere, di trovare collegamenti inattesi. La parola  liber – proprio perché legata a “crescere” - designava l’appartenenza a un gruppo (a un popolo o a una famiglia : liberi si usava anche per indicare i “figli”). L’appartenenza è espressa attraverso la metafora della crescita, di una vegetazione. È la stessa idea, in fondo, dell’”albero” genealogico. Per opposizione, lo schiavo, è colui che non appartiene al gruppo. La “libertà” nasce insomma già con implicito il termine contrario. La parola inglese freedom ha una radice diversa, ma racchiude un’idea simile: viene da una radice che significa “amare”, “avere cari”, applicata probabilmente ai membri del proprio gruppo o famiglia.  

 

Quasi una logica binaria amico/nemico.

Sì. Del resto, la causa principale di riduzione in schiavitù era proprio la prigionia di guerra, la cattura del nemico. Il che spiega anche perché a Roma non ci fosse un legame fra schiavitù e etnicità. In altri termini, non c’era una connotazione razziale nella pratica dell’asservimento. Qualunque fosse la “nazionalità”, era la cattura in guerra che determinava la perdita della libertà. Il che non toglie che i romani sentissero gli schiavi provenienti da talune popolazioni più vicini a loro per costumi e mentalità rispetto ad altri. Ma, appunto, la schiavitù prescindeva dall’etnia. In questo differisce notevolmente dalla schiavitù che si è sviluppata a partire dal 16 secolo. Oltretutto, i Romani praticavano largamente la manomissione degli schiavi, che diventavano così liberi e cittadini, e finivano per dare a Roma una connotazione multietnica.

 

Si dice che è difficile definire cosa sia la libertà. I Romani ci possono aiutare?

Un giurista vissuto intorno al 200 d.C., che si chiamava Fiorentino, ha lasciato questa definizione: “La libertà è la facoltà naturale di fare quello che a ciascuno piace fare, a meno che gli sia impedito dalla forza o dal diritto”. È una definizione molto chiara, e anche bella perché la si può applicare a tanti campi: potere fare quello che uno vuole, questa è la libertà. Naturalmente, poiché viviamo in società, ci sono dei limiti, riassunti da due aspetti, la forza e il diritto. La forza sono gli ostacoli che altri ci impongono in modo abusivo. Il diritto, sono i limiti pensati per farci interagire armoniosamente nel gruppo. E’ interessante notare che, a sua volta, il diritto serve a rimuovere anche gli ostacoli che altri ci impongono con la forza. Insomma, la libertà, come spazio d’azione e di realizzazione, ha molto a vedere con la sua effettiva protezione da parte del diritto.

 

Nella definizione mi ha colpito l’aggettivo “naturale”. Sembra di sentire l’articolo 1 della Dichiarazione dei diritti umani del 1948, “Tutti gli esseri umani nascono liberi ed eguali in dignità e diritti”.

Decisamente sì. Anzi, quest’articolo è direttamente influenzato da questo testo e da altri simili del Digesto di Giustiniano, il volume che raccoglie i principi del diritto romano e che ha profondamente marcato la cultura giuridica occidentale moderna. Ma il paradosso sta nel fatto che questa dichiarazione di “libertà naturale di tutti gli uomini” proviene da una società che praticava lo schiavismo. Il fatto è che gli antichi distinguevano questo stato naturale da quello che poi poteva succedere se si veniva catturati o se si nasceva da una madre che era essa stessa schiava. Il grande passo avanti della modernità è stato quello di fare coincidere la condizione di libertà di natura con quella giuridica. La schiavitù è stata abolita e oggi effettivamente tutti gli esseri umani nascono liberi ed eguali in dignità e diritti.  

 

Oggi tuttavia vi sono situazioni di asservimento drammatiche: tratta di migranti, lavoro minorile, sfruttamento sessuale. 

È una piaga, che sembra derivare da un istinto di sopraffazione che non è solo dell’antichità. La convenzione di Ginevra del 1926 definisce schiavitù «lo stato o la condizione di un individuo sul quale si esercitano gli attributi del diritto di proprietà o alcuni di essi». Riflettere sulla schiavitù antica – che era appunto la condizione giuridica di essere interamente sottoposti al potere di un dominus – può aiutare a meglio mettere a fuoco queste situazioni di asservimento. Intendo dire che, riflettendo sulla condizione giuridica dello schiavo antico, si può più facilmente riconoscere quali situazioni riproducono oggi, sotto un altro nome, uno stato di minorazione inaccettabile di libertà personale.

 

È proprio vero: la libertà e il suo opposto sembrano essere strettamente collegati.

Sì, e anche la libertà individuale e quella collettiva lo sono. I romani distinguevano i popoli liberi dagli altri, dicendo che “libero” è quel popolo che non è soggetto al potere di nessun altro popolo (insomma, così come libera è una persona che non ha un padrone). Si tratta di una definizione che può aiutare ad orientarci anche nella dimensione politica internazionale. Proprio perché la libertà è sempre accompagnata dall’ombra del suo contrario, essa richiede di essere sempre vigilanti per difenderla.