Il progetto culturale della Facoltà di comunicazione, cultura e società
Le immagini ci interrogano. Con la loro muta presenza o con vivaci interpellazioni, abitano il nostro presente e interagiscono con noi. È probabile che non si tratti di una novità, che anche altre epoche abbiano sperimentato così intensamente la loro presenza e i loro effetti; mai come ora, tuttavia, esse pervadono il quotidiano: si affacciano dagli schermi di dispositivi dai quali siamo a tutti gli effetti inseparabili; sono prodotte da circuiti di videosorveglianza ormai in grado di riconoscerci individualmente; trasmesse da minuscole sonde, radiazioni o echi, ci offrono inedite e spesso perturbanti visioni dei nostri corpi. Sul piano economico e sociale, da rinvio a un ‘altro’ oggetto, le immagini sono oggi veri oggetti di consumo e di vendita, sollevando anche la questione di cosa, in fin dei conti, si scambi davvero nei nostri mercati.
Alla rilevanza sociale del tema (si pensi ancora alla questione dello stereotipo) si aggiunge quella scientifica. Sempre più le immagini, oltre che oggetto, sono strumenti e metodi della ricerca, dal visual design dei big data (anche nel campo delle digital humanities) alle pratiche dell’antropologia visuale, all’adozione del video-essay come strumento di comunicazione scientifica. Le immagini non soltanto interrogano, ma vengono interrogate e assumono la concretezza di corpora.
Interrogare questo incrocio di reciproche interrogazioni significa porsi domande cruciali per la società nel suo complesso e per l’università in particolare. Per metterle a fuoco può farci da guida il syllabus messo a punto da uno dei fondatori degli studi di cultura visuale: “Cos’è un’immagine? Qual è la relazione tra immagini e linguaggio? Come circolano le immagini attraverso i media? In che modo ci influenzano? In che modo acquisiscono senso e potere? Com’è che sembrano prendere vita, e cosa vogliono da noi? Come si trasformano al trasformarsi delle forme sociali e delle tecniche di vita? Che ruolo giocano negli eventi storici? E qual è la storia del nostro modo di capire le immagini?” (W. J. T. Mitchell, Iconologia 3.0).